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Author Archive by Avv. Luigi Mirra

Responsabilita’ degli enti pubblici nelle ipotesi di danni causati da animali e/o cani randagi

Piu’ volte sara’ capitato di avere notizie di aggressioni da parte di cani e/o animali randagi e di come le stesse a volte abbiano avuto ripercussioni sgradevoli nei confronti dei poveri malcapitati.  Orbene ad oggi il percorso normativo e giurisprudenziale nazionale ha permesso di delineare in maniera abbastanza chiara le modalita’ con cui procedere nelle ipotesi di risarcimento ed in particolare nel “focalizzare” le responsabilita’ a carico degli enti pubblici preposti alla salvaguardia ed incolumita’ di terzi rispetto agli eventi teste’ descritti.

Sussiste di fatto una responsabilita’ gradata tra i Comuni e le ASL che incentra sull’ente preposto a garantire la custodia e la cattura degli animali sul territorio regionale ogni richiesta vantata.

Non a caso la Suprema Corte cosi’ disponeva nel 2019: “il principio generale, affermato dalla giurisprudenza di legittimita’ alla quale si intende dare pienamente continuita’, e’ quello di radicare la responsabilita’ civile per danni causati da cani randagi nell’ente o ente cui e’ attribuito dalla legge ( ed in particolare dalle singole leggi ragionali attuative della legge quadro nazionale n. 281 del 1991) il dovere di prevenire il pericolo specifico per l’incolumita’ della popolazione, e cioe’, il compito della cattura e della custodia dei cani vaganti o randagi, mentre non puo’ritenersi sufficiente, a tal fine, l’attribuzione di generici compiti di prevenzione del randagismo, quale e’ il controllo delle nascite della popolazione canina e felina, avendo quest’ultimo ad oggetto il mero controllo numerico degli animali, a fini di igiene e profilassi, e, al piu’, una sola generica ed indiretta prevenzione dei vari inconvenienti legati al randagismo (Cass 3 n 12495 del 18/5/2017). Sulla base di questo principio generale la ASL e’ il soggetto individuato dalla normativa regionale quale competente in materia di prevenzione del fenomento del randagismo (cfr Cass Civ. ordinanza nr 22522/2019)”.

Diventa pertanto rilevante analizzare i fatti di causa ma soprattutto il quadro normativo regionale onde avere una chiara percezione delle competenze a carico del Comune e delle ASL e delle inevitabili responsabilita’ rispetto ad eventi come quelli descritti.

Cessione occulta di azienda

Uno tra i fenomeni piu’ discussi ed, allo stesso tempo, potenzialmente lesivo degli interessi di ogni creditore e’ la cd. CESSIONE OCCULTA DI BENI AZIENDALI, fenomeno tale da pregiudicare irrimediabilmente ogni diritto vantato da terzi perche’ finalizzato a rendere superflua ogni possibile azione nei confronti di chi si avvale di tale sistema.

Nel momento in cui due societa’ procedono in manera del tutto “occulta” al passaggio di beni e /o mezzi senza le formalita’ prescritte dalla Legge allora potrebbe tranquillamente verificarsi quanto teste’ descritto con effetti del tutto pregiudizievoli nei confronti di chi vanta somme: tipico di tali cessioni e’ il vincolo di parentela tra i titolari della societa’ cedente e cessionaria, l’esercizio di attivita’ commerciali del tutto similari con l’utilizzo degli stessi locali e del medesimo personale, il medesimo profilo digitale “social network” etc..

La Suprema Corte nel 2019 ben affermava che “”in tema di cessione di azienda, il principio di solidarietà fra cedente e cessionario, fissato dall’art. 2560, secondo comma, cod. civ. con riferimento ai debiti inerenti all’esercizio dell’azienda ceduta anteriori al trasferimento, principio condizionato al fatto che essi risultino dai libri contabili obbligatori /deve essere applicato tenendo conto della “finalità di protezione” della disposizione, finalità che consente all’interprete di far prevalere il principio generale della responsabilità solidale del cessionario ove venga riscontrato, da una parte, un utilizzo della norma volto a perseguire fini diversi da quelli per i quali essa è stata introdotta, e, dall’altra, un quadro probatorio che, ricondotto alle regole generali fondate anche sul valore delle presunzioni, consenta di fornire una tutela effettiva al creditore che deve essere salvaguardato (Cass Civ. ordinanza nr 32134/2019)

E non e’ un caso che il Tribunale di Treviso, con la sentenza nr 2395 del 30 Novembre 2018, cosi’ disponeva  “la cessione occulta di azienda puo’ essere provata dal creditore tramite presunzioni ed esclude l’applicabilita’ del criterio formale dell’iscrizione dei debiti nelle scritture contabili del cedente di cui all’art. 2560 comma 2 c.c. in favore del cessionario CHE COSI’ RISPONDE IN SOLIDO CON L’ALIENANTE DI TUTTI I DEBITI DELL’AZIENDA CEDUTA.

Pertanto  laddove emergano elementi tali da configurare i presupposti di un’azione illecita volta a ridurre ogni garanzia di chi vanta crediti SARA’ SICURAMENTE ATTIVABILE QUANTO PREVISTO DALL’ART 2043 C.C. IN MATERIA DI RISARCIMENTO DEL DANNO.

Il consenso informato

Il diritto ad una consapevole autorizzazione al trattamento sanitario proposto (cfr consenso informato) garantisce al terzo/paziente una corretta ed esaustiva valutazione della prestazione medico sanitaria alla quale sara’ sottoposto, relativamente ad interventi chirurgici e/o prestazioni di qualsivoglia natura. Rappresenta di fatto la massima garanzia relativamente al principio delle libera autodeterminazione ovvero della possibilita’ di valutare nella maniera piu’ ampia e trasparente l’operato del personale sanitario presso cui ci si e’ rivolti. L’individuo deve essere messo nelle piu’ ampie condizioni di valutare correttamente la tipologia di trattamento scelto e della prestazione a lui piu’ congeniale.

Il consenso deve essere  strettamente “accordato” alla prestazione sanitaria con cui e’ direttamente (ed indirettamente) collegato, non rifacendosi a moduli e formulari prestampati che tanto sono in uso all’interno di ospedali, cliniche o strutture sanitarie private presenti sul territorio nazionale e locale.  L’omissione nel delineare nella maniera piu’ chiara ogni informazione relativa ai possibili rischi e conseguenze del trattamento a cui il paziente viene sottoposto (anche laddove il trattamento stesso sia eseguito correttamente) LEDE IN MANIERA CHIARA “IL DIRITTO AD ESSERE INFORMATI CORRETTAMENTE” ED IL PRINCIPIO SUPERIORE DELL’ “AUTODETERMINAZIONE TERAPEUTICA”.

La Suprema Corte di Cassazione, con l’ordinanza nr 8756 del 29 Marzo 2019, ha cosi’ stabilito: “la correttezza o meno del trattamento non assume alcun rilievo ai fini della sussistenza dell’illecito per violazione del consenso informato, in quanto è del tutto indifferente ai fini della configurazione della condotta omissiva dannosa e dell’ingiustizia del fatto, la quale sussiste per la semplice ragione che il paziente, a causa del deficit di informazione non è stato messo in condizione di assentire al trattamento sanitario con una volontà consapevole delle sue implicazioni…….Invero, il trattamento, eseguito senza previa prestazione di un valido consenso, avviene in violazione: sia dell’art. 32 Cost., comma 2, (a norma del quale nessuno può essere obbligato ad un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge); sia dell’art. 13 Cost. (che garantisce l’inviolabilità della libertà personale con riferimento anche alla libertà di salvaguardia della propria salute e della propria integrità fisica); sia della L. n. 833 del 1978, art. 33, (che esclude la possibilità d’accertamenti e di trattamenti sanitari contro la volontà del paziente, se questo è in grado di prestarlo e non ricorrono i presupposti dello stato di necessità; ex art. 54 c.p.)”.

Pertanto, come da orientamento giurisprudenziale consolidato, qualsivoglia azione di risarcimento del danno relativo a vizi sull’ informazione dei rischi sottesi all’ intervento e/o trattamento sanitario ricevuto  NON SARA’ SEMPRE VINCOLATA AGLI ESITI DEL TRATTAMENTO OGGETTO DI CONTROVERSIA ma potra’ avere anche un percorso del tutto autonomo incentrato sul solo deficit informativo.

Attribuzione del cognome al figlio naturale non riconosciuto contestualmente dai genitori

In materia di riconoscimento del minore, nato dall’unione di persone non coniugate, uno degli elementi sicuramente  piu’ controversi e’ quello dell’attribuzione del cognome.

“In tema di attribuzione giudiziale del cognome al figlio naturale riconosciuto non contestualmente dai genitori, il giudice è investito dall’art. 262, secondo e terzo comma, cod. civ. del potere-dovere di decidere su ognuna delle possibilità previste da detta disposizione avendo riguardo, quale criterio di riferimento, unicamente all’interesse del minore e con esclusione di qualsiasi automaticità, che non riguarda né la prima attribuzione  – essendo inconfigurabile una regola di prevalenza del criterio del “prior in tempore” – né il patronimico per il quale parimenti non sussiste alcun“favor” in sé ( Cfr Cass Civ nr 2644/2011)”.

Il cognome rappresenta di fatto un elemento chiave per garantire all’individuo – al pari del nome – una costruzione chiara e precisa della propria identita’ e negli anni si e’ sopraggiunti al principio per cui “il figlio puo’ tranquillamente assumere il cognome del padre aggiungendolo, anteponendolo e sostituendolo a quello della madre”. DIVENTA DI FATTO RILEVANTE ED ASSOLUTAMENTE PRIORITARIO GARANTIRE SEMPRE IL PIENO INTERESSE DEL MINORE, ELEMENTO IMPRESCINDIBILE DA CUI FAR DIPENDERE OGNI EVENTUALE DECISIONE.

“L’organo giurisdizionale deve pertanto aver riguardo al modo più conveniente di individuare l’interesse del minore in relazione all’ambiente in cui è cresciuto sino al momento del riconoscimento ed è chiamato ad emettere, prescindendo da qualsiasi meccanismo di automatica attribuzione del cognome dell’uno o dell’altro genitore  un provvedimento contrassegnato da ampio margine di discrezionalità e frutto di libero e prudente apprezzamento, nell’ambito del quale assume rilievo centrale non tanto l’interesse dei genitori, quanto quello del minore ad essere identificato nel contesto delle relazioni sociali in cui si trova inserito ( Cfr Cass Civ nr 12640 del 2015)”.

I giudici, pertanto, saranno sempre tenuti a valutare l’interesse del minore rapportandolo in maniera chiara e precisa all’ambiente in cui il piccolo e’ cresciuto, fino al momento dell’effettivo riconoscimento, dando valore assoluto ai tessuti sociali in cui di fatto si trova inserito .  Privare o escludere un cognome non dovra’ mai risolversi in una ingiusta privazione di un elemento che ormai contraddistingue il piccolo caratterizzandolo nella sua personalita’ laddove dovra’ esserne sempre garantito ogni superiore interesse individuale.

La prova della notifica a mezzo PEC nel processo telematico

LA PROVA DELL’AVVENUTA NOTIFICA A MEZZO PEC  nei giudizi in cui il processo telematico e’ ampiamente operativo deve essere OBBLIGATORIAMENTE GARANTITA ATTRAVERSO IL DEPOSITO DEI DUPLICATI DEI FILE DELLE RICEVUTE DI ACCETTAZIONE E DI AVVENUTA CONSEGNA CON ESTENSIONE EML.

Ai sensi e per gli effetti dell’ art 3 bis della L 53/1994 la notifica PEC “si perfeziona nel momento in cui viene generata la ricevuta di accettazione prevista dall’art 6, comma 1, del decreto del Presidente della Repubblica 11 Febbraio 2005, nr 68, e per il destinatario, nel momento in cui viene generata la ricevuta di avvenuta consegna prevista dall’art 6, comma 2, del decreto del Presidente della Repubblica 11 Febbraio n. 68”.

“QUALORA NON SI POSSA PROCEDERE AL DEPOSITO CON MODALITA’ TELEMATICHE DELL’ATTO NOTIFICATO A NORMA DELL’ART 3 BIS L’AVVOCATO ESTRAE COPIA SU SUPPORTO ANALOGICO DEL MESSAGGIO DI POSTA ELETTRONICA CERTIFICATA, DEI SUOI ALLEGATI E DELLA RICEVUTA DI ACCETTAZIONE E DI AVVENUTA CONSEGNA E NE ATTESTA LA CONFORMITA’ AI DOCUMENTI INFORMATICI DA CUI SONO TRATTE AI SENSI DELL’ART 23, COMMA 1, DEL DECRETO LEGISLATIVO 7 MARZO 2005 NR 82……..LA MEDESIMA PROCEDURA SI APPLICA IN TUTTI I CASI IN CUI L’AVVOCATO DEBBA FORNIRE PROVA DELLA NOTIFICAZIONE E NON SIA POSSIBILE FORNIRLA CON MODALITA’ TELEMATICHE ( cfr art 9 comma 1-bis – comma 1 ter L53/94)”.

Pertanto, il deposito delle ricevute PEC in formato cartaceo nel fascicolo telematico e’ del tutto marginale rispetto alla procedura tassativamente prevista dal legislatore.

“La trasmissione in via telematica all’ufficio giudiziario delle ricevute previste dall’articolo 3-bis, comma 3, della legge 21 gennaio 1994, n. 53, nonché della copia dell’atto notificato ai sensi dell’articolo 9, comma 1, della medesima legge, è effettuata inserendo l’atto notificato all’interno della busta telematica di cui all’art 14 e, come allegati,  la ricevuta di accettazione e la ricevuta di avvenuta consegna relativa ad ogni destinatario della notificazione; i dati identificativi relativi alle ricevute sono inseriti nel file DatiAtto.xml di cui all’articolo 12, comma 1, lettera e (cfr Art 19- bis, comma 5, del Provvedimento del responsabile S.I.A. del 16 Aprile 2014)”.

Con le sentenze numero 20072 del 2015 e 15035 del 2016 La Suprema Corte di Cassazione ha delineato principi (cfr INESISTENZA DELLA NOTIFICA) poi ripresi analiticamente dalla CORTE DI APPELLO DI TORINO/SEZ. LAVORO, LA QUALE CON LA SENTENZA NR 603 DEL 2016, COSI’ DISPONEVA“L’ART 9 DELLA LEGGE 21. 1.1994 NR 53, COME MODIFICATA DALLA LEGGE 228/12 E DALLA LEGGE 114/2014 TESTUALMENTE STABILISCE AL COMMA 1 BIS CHE SOLO QUALORA NON SI POSSA PROCEDERE AL DEPOSITO CON  MODALITA’ TELEMATICHE DELL’ATTO NOTIFICATO A NORMA DELL’ART 3-BIS L’AVVOCATO ESTRAE COPIA SU SUPPORTO ANALOGICO DEL MESSAGGIO DI POSTA ELETTRONICA CERTIFICATA, DEI SUOI ALLEGATI E DELLA RICEVUTA DI ACCETTAZIONE E DI AVVENUTA CONSEGNA E NE ATTESTA LA CONFORMITA’ DI DOCUMENTI INFORMATICI DA CUI SONO TRATTE AI SENSI DELL’ART 23 COMMA 1 DEL DL 7 MARZO 2005 NR 82 ED AL COMMA 1-TER CHE IN TUTTI I CASI IN CUI L’AVVOCATO DEBBA FORNIRE PROVA DELLA NOTIFICA E NON SIA POSSIBILE FORNIRLA CON MDALITA’ TELEMATICHE, PROCEDE AI SENSI DEL COMMA 1 BIS …….LA POSSIBILITA’ DI PROVARE IN MODALITA’ CARTACEA LA NOTIFICA  A MEZZO PEC E’ DEL TUTTO RESIDUALE E TALE IPOTESI NON PUO’ RITENERSI SUSSISTENTE NELLA FATTISPECIE, NON AVENDO PARTE APPELLANTE NEMMENO DEDOTTO CHE L’UFFICIO, PER MOTIVI ECCEZIONALI E CONTINGENTI, NON FOSSE IN GRADO DI ACQUISIRE L’INVIO TELEMATICO DELLA PROVA TELEMATICA DELLA NOTIFICA VIA PEC AI SENSI DELL’ART 19 BIS DEL PROVV RESP. DGSIA 16 APRILE 2014…L’ART 11 L 53/1994 SANZIONA CON LA NULLITA’ RILEVABILE ANCHE D’UFFICO”.

Peraltro, ai fini della regolarita’ della notifica a mezzo PEC, diventa interessante esaminare quanto disposto successivamente dalla stessa Corte di Cassazione con l’ordinanza nr 26705 del 2019: “LA RICEVUTA DI CONSEGNA RILASCIATA DAL GESTORE DI POSTA ELETTRONICA CERTIFICATA DEL DESTINATARIO, SEPPUR NON ASSURGA A QUELLA CERTEZZA PUBBLICA PROPRIA DEGLI ATTI FACENTI FEDE FINO A QUERELA DI FALSO, COSTITUISCE DOCUMENTO IDONEO A DIMOSTRARE FINO A PROVA CONTRARIA CHE IL MESSAGGIO INFORMATICO E’ PERVENUTO NELLA CASELLA DI POSTA ELETTRONICA DEL DESTINATARIO”. Orbene  se non vi’ e’ ampia contestazione / disconoscimento relativamente al deposito cartaceo delle ricevute PEC  nulla potra’ essere obiettato in merito alla validita’ formale del detto deposito: infatti ogni notifica a mezzo PEC sara’ da intendere ampiamente perfezionata e documentata ( proprio attraverso le copie cartacee delle ricevute) in virtu’ di quanto precisato nell’ordinanza richiamata. L’atto infatti sara’ ritenuto notificato nel preciso istante in cui vengono generate le ricevute di Accettazione e di Consegna PEC dal gestore di posta elettronica, salvo prova contraria ad opera di chi ne contesta ogni perfezionamento.

L’ agente ed il procacciatore d’affari – tratti distintivi

Negli ultimi anni abbiamo assistito ad un orientamento giurisprudenziale abbastanza univoco nel caratterizzare gli elementi che di fatto contraddistinguono la figura tipica  dell’agente commerciale rispetto a quella del mero procacciatore d’affari. Premesso che quest’ultima figura professionale  non e’ cristallizzata in  una disciplina “codicistica” tale da evidenziarne ogni elemento, si assiste sovente a giudizi incentrati sull’analisi di tre elementi chiave:

  • Tempi di collaborazione;
  • Tipologia di fatturazione;
  • Modalita’ di conclusione dei contratti.

Di fatto basta uno di questi fattori per poter determinare l’inquadramento di una fattispecie rispetto ad un’altra (basti pensare che la Corte di Appello di Roma con la sentenza nr 1618 del 2019 ha implicitamente stabilito che “ la continuità più o meno apprezzabile dell’attività, di per sé, è insufficiente a dimostrare il carattere stabile tipico dell’agente”) con conseguenze il piu’ delle volte assolutamente negative per chi,  come le piccole imprese, si avvale dell’operato di terzi per lo sviluppo e la commercializzazione del proprio brand.

“I Caratteri distintivi del contratto di agenzia sono la continuita’ e la stabilita’ dell’attivita’ dell’agente di promuovere la conclusione dei contratti per conto del preponente nell’ambito di una determinata sfera territoriale, realizzando con quest’ultimo una non episodica collaborazione professionale autonoma con risultato a proprio rischio e con l’obbligo naturale di osservare le istruzioni ricevute dal proponente MENTRE NEL RAPPORTO DI PROCACCIATORE D’AFFARI SI CONCRETA NELLA PIU’ LIMITATA ATTIVITA’ DI CHI, SENZA VINCOLO DI STABILITA’ ED IN VIA DEL TUTTO EPISODICA, RACCOGLIE LE ORDINAZIONI DEI CLIENTI, TRASMETTENDOLE ALL’IMPRENDITORE DA CUI HA RICEVUTO L’INCARICO DI PROCURARE TALE COMMISSIONI……MENTRE LA PRESTAZIONE DELL’AGENTE E’ STABILE, AVENDO EGLI L’OBBLIGO DI SVOLGERE L’ATTIVITA’ DI PROMOZIONE DEI CONTRATTI, LA PRESTAZIONE DEL PROCACCIATORE E’ OCCASIONALE NEL SENSO CHE DIPENDE ESCLUSIVAMENTE DALLA SUA INIZIATIVA (Cfr Cass Civ. lavoro sentenza nr 20411/2017)”. Di tale avviso anche la sentenza della Suprema Corte nr 6321 del 2018: “Il rapporto di agenzia viene distinto dal rapporto di procacciamento di affari in relazione alla continuita’ e stabilita’ dell’attivita’ dell’agente, che non si limita a raccogliere episodicamente le ordinazioni dei clienti, ma promuove stabilmente la conclusione dei contratti per conto del preponente nell’ambito di una determinata sfera territoriale”.

Attualmente mancando di fatto una disciplina normativa tipica tale da poter dare una corretta definizione relativamente alla figura del procacciatore d’affari bisognera’ sempre tener presente che quest’ultimo non e’ un rappresentante dell’impresa, puo’ operare in zone dove il piu’ delle volte agiscono gli stessi agenti dell’impresa per cui “procaccia” clienti e  ha un interesse unico finalizzato alla riscossione della provvigione maturata.  Non sara’ quasi mai responsabile delle inadempienze del terzo/cliente segnalato e  NON RICEVERA’ MAI ISTRUZIONI ALCUNE AD OPERA DELLA DITTA RELATIVAMENTE ALLA  PUBBLICIZZATA’ DEI PRODOTTI

SOPRATTUTTO NON SARA’ SOGGETTO AD ALCUN VINCOLO TALE DA POTER DELINEARE ANCHE IPOTETICAMENTE UNA LINEA TEMPORANEA OLTRE CUI FAR CESSARE OGNI ATTIVITA’: “La prestazione del Procacciatore e’ occasionale NEL SENSO CHE DIPENDE ESCLUSIVAMENTE DALLA SUA INIZIATIVA (CFR Cass Civ. nr 13629/2005)”.