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Author Archive by Avv. Luigi Mirra

Vendita di Aliud Pro Alio e azione di risoluzione contrattuale

La cd. vendita di “ALIUD PRO ALIO” ovverosia di una vendita di un bene radicalmente diverso rispetto a quello venduto si materializza quando il bene oggetto della compravendita e’ completamente diverso da quello contrattato ovvero quanto e’ assolutamente privo delle caratteristiche funzionali richieste dall’acquirente.

L’AZIONE DI RISOLUZIONE CONTRATTUALE CUI DA’ LUOGO LA COMPRAVENDITA CON CONSEGNA DI ALIUD PRO ALIO E’ SVINCOLATA DAI TERMINI DI PRESCRIZIONE E DECADENZA PREVISTI DALL’ART 1495 CC RIMANENDO DI FATTO SOGGETTA ALL’ORDINARIO TERMINE DI PRESCRIZIONE DECENNALE (su tutte Cass Civ. 2313/2016).  Il termine stesso di prescrizione  decorre NON DALLA DATA SI CUI SI E’ VERIFICATA LA COMPRAVENDITA MA BENSI’ ALL’EPOCA DI ACCADIMENTO DEL FATTO LESIVO PER COME OBIETTIVAMENTE PERCEPIBILE E RICONOSCIBILE( CRF CASS CIV. NR 1889/2018).

CON L’AZIONE DI RISOLUZIONE CONTRATTUALE, PERTANTO, SI TENDE A RIEQUILIBRARE OGNI RAPPORTO ECONOMICO / PATRIMONIALE TRA LE PARTI ELIMINANDO DI FATTO  GLI EFFETTI DEL CONTRATTO DI COMPRAVENDITA STIPULATO: La PRONUNCIA COSTITUTIVA DI RISOLUZIONE DEL CONTRATTO PER INADEMPIMENTO determina il venir meno della causa giustificatrice delle prestazioni e – per l’effetto – la “restitutio in integrum” delle  prestazioni già eseguite.

Peraltro,trattandosi di inadempimento contrattuale, sara’ sempre rilevante il principio per cui chi richiede l’adempimento deve provare soltanto l’esistenza del proprio diritto, con allegazione dell’inadempimento del venditore, mentre il convenuto in giudizio avrà sempre l’onere di dimostrare in maniera cristallina l’avvenuto adempimento di ogni propria obbligazione.

 

Responsabilita’ contrattuale dell’ente ospedaliero nei confronti del paziente

Ogni azione di risarcimento promossa relativamente ad ipotesi di malasanita’ presuppone i connotati tipici delle azioni di accertamento delle responsabilita’ contrattuali ex artt. 1218 e 1228 cc. SECONDO QUANDO STABILITO DALLA SUPREMA CORTE “ IL RAPPORTO CHE SI INSTAURA TRA IL PAZIENTE E L’ENTE OSPEDALIERO HA LA SUA FONTE IN UN ATIPICO CONTRATTO A PRESTAZIONI CORRISPETTIVE CON EFFETTI PROTETTIVI NEI CONFRONTI DEL TERZO, DA CUI, A FRONTE DELL’OBBLIGAZIONE AL PAGAMENTO DEL CORRISPETTIVO, INSORGONO A CARICO DELL’ENTE STESSO OBBLIGHI DI MESSA A DISPOSIZIONE DEL PERSONALE MEDICO AUSULIARIO, DEL PERSONALE PARAMEDICO E DELL’APPRESTAMENTO DI TUTTE LE ATTREZZATURE NECESSARIE…..NE CONSEGUE CHE LA RESPONSABILITA’ DELL’ENTE NEI CONFRONTI DEL PAZIENTE HA NATURA CONTRATTUALE E PUO’ CONSEGUIRE EX ART 1218 CC, ALL’INADEMPIMENTO DELLA PRESTAZIONE MEDICO PROFESSIONALE SVOLTA DIRETTAMENTE DAL SANITARIO, QUALE SUO AUSILIARIO NECESSARIO PUR IN ASSENZA DI UN RAPPORTO DI LAVORO SUBORDINATO, COMUNQUE SUSSISTENDO UN COLLEGAMENTO TRA LE PRESTAZIONI DA COSTUI EFFETTUATE E LA SUA ORGANIZZAZIONE AZIENDALE, NON RILEVANDO AL CONTRARIO AL RIGUARDO LA CIRCOSTANZA CHE IL SANITARIO RISULTI ESSERE ANCHE DI FIDUCIA DELLO STESSO PAZIENTE E COMUNQUE DAL MEDESIMO SCELTO (CFR Cass Civ. nr 18610/2015).

Ma vi e’ di piu’. IL DEBITORE (OVVERO L’ENTE OSPEDALIERO) CHE SI AVVALE DELL’OPERATO DI TERZI RISPONDE ANCHE DEI FATTI DOLOSI O COLPOSI POSTI IN ESSERE DAGLI STESSI IN VIRTU’ DI QUANTO DISPOSTO DALL’ART 1228 CC E LADDOVE VENGA ECCEPITO DALL’ATTORE L’INADEMPIMENTO SARA’ LA STRUTTURA SANITARIA A DOVER PROVARE DI AVER ADEMPIUTO ESATTAMENTE OGNI PRESTAZIONE, NEGANDO EVENTUALI ADDEBITI.

L’Ente Sanitario coinvolto – per escludere a suo danno ogni ipotesi di responsabilita’ – dovrebbe di fatto provare  che “OGNI EVENTO SIA DIPESO DA CAUSA NON IMPUTABILE ALLA STRUTTURA SANITARIA NE’ TANTOMENO CHE IL RICORRENTE SIA STATA CAUSA DEL DANNO STESSO ( su tutte Cass Civ nr 21177/2015)”. Ma di fatto SECONDO CONSOLIDATO ORIENTAMENTO GIURISPRUDENZIALE “SE ANCHE ALL’ESITO DEL GIUDIZIO DOVESSE PERMANERE INCERTEZZA SULL’ESISTENZA DEL NESSO CAUSALE RELATIVAMENTE ALLA CONDOTTA DEL MEDICO E DEL DANNO RICHIESTO, OGNI RESPONSABILITA’ RICADRA’ SEMPRE SULL’ENTE CONVENUTO (Cfr Cass Civ nr 20547/2014).

SARA’PERTANTO SEMPRE CONFIGURABILE IL NESSO CAUSALE FRA IL COMPORTAMENTO OMISSIVO DEL MEDICO ED IL PREGIUDIZIO SUBITO DAL PAZIENTE QUALORA ATTRAVERSO UN CRITERIO NECESSARIAMENTE PROBABILISTICO SI RITENGA CHE L’OPERA DEL MEDICO – SE CORRETTAMENTE E PRONTAMENTE PRESTATA – AVREBBE AVUTO SERIE ED APPREZZABILI PROBABILITA’ DI EVITARE IL DANNO VERIFICATOSI ( Cfr Cass. Civ 867/2008, Cass Civ. nr 10060/2011).

Omesso versamento delle somme a titolo di ritenute d’acconto ad opera del sostituto d’imposta

Con la Sentenza nr 10378 del 2019 La Suprema Corte di Cassazione a Sezioni Unite ha ben delineato il principio per cui in caso di omissione del versamento delle ritenute d’acconto ad opera del sostituto d’imposta non operi il principio di solidarieta’ tra le parti ed in particolare l’obbligo in capo al sostituito di pagare quanto non versato.

Secondo la Cassazione il sostituito in sede di riscossione non e’ tenuto in solido al pagamento atteso che la responsabilita’ solidale prevista dall’art 35 DPR 602 e’ espressamente condizionata dalla circostanza che non siano state effettuate le ritenute.

Succede spesso che, dopo aver svolto regolare prestazione professionale, ci si ritrovi senza il versamento delle ritenuta ad opera del cliente. Orbene prima dell’intervento chiarificatore della Suprema Corte si correva il rischio – paradossale – di essere “doppiamente” tassati con un pagamento della fattura al netto delle ritenute e, a seguito dell’omesso versamento, con una “condanna” al pagamento delle sanzioni a favore dell’Ente di Riscossione.

Quanto sancito dalla Suprema Corte cristallizza in maniera definitiva la natura del cd “dovere di  versamento della ritenuta d’acconto” che di fatto costituisce una AUTONOMA OBBLIGAZIONE rispetto all’ imposta, tale da gravare ESCLUSIVAMENTE sul sostituto d’imposta, come peraltro debitamente previsto dal DPR 600/73, nulla riguardando la persona del sostituito: quest’ultimo non e’ tenuto in solido in sede di riscossione al pagamento  atteso che la responsabilita’ solidale e’ espressamente ancorata al presupposto che le ritenute non siano state versate.

 

 

Danni da Interruzione della Linea Telefonica per attivita’commerciali

Nei contratti di somministrazione – tipici della fornitura di energia, gas, acqua potabile, servizi telefonici etc. – si impone ogni forma di assistenza, correttezza e diligenza in quanto diversamente saranno configurabili i presupposti per un’azione da inadempienza e contestuale azione del risarcimento del danno.

Come da consolidata giurisprudenza “il pregiudizio derivato all’utente dal mancato utilizzo del servizio richiesto, per un determinato periodo temporale,  puo’ integrare una lesione meritevole di ristoro laddove accompagni un pregiudizio suscettibile di valutazione economica”.

Il somministrante, nell’ipotesi di inadempimento ex art . 1460 c.c. per mancata esecuzione della prestazione, SARA’ SEMPRE TENUTO A DIMOSTRARE IL PROPRIO ADEMPIMENTO (CFR CASS CIV 8736/2014) e CHE I FATTI ADDEBITATI NON SIANO RICONDUCIBILI ALLA PROPRIA CONDOTTA. Peraltro se il danno riguarda un esercizio COMMERCIALE che confida nei rapporti con la clientela l’interruzione della linea non puo’ che aver inciso in negativo nei rapporti con la “clientela stessa” ( Trib Firenze sent civ. nr 4543 del 27/11/2007), determinando di fatto una richiesta risarcitoria corposa. Basti pensare che “la valutazione equitativa del lucro cessante – prevista dall’art 2056 cc comma 2 – NON IMPLICA ALCUNA RELEVATIO DELL’ONERE PROBATORIO, relativamente alla concreta esistenza del pregiudizio patrimoniale, riguardando il GIUDIZIO DI EQUITA’ SOLO L’ENTITA’ DI QUEL PREGIUDIZIO IN CONSIDERAZIONE DELL’IMPOSSIBILITA’ O DELLA GRANDE DIFFICOLTA’ DI DIMOSTRARNE L’ESATTA MISURA ( Cass Civ. nr 12812/2016).

Pertanto oltre la prova del titolo e l’esigibilita’ della prestazione – uniti all’inadempimento del debitore/operatore – nulla gravera’ a carico di colui che ha subito il danno  essendo ONERE DEL DEBITORE DIMOSTRARNE IL CONTRARIO.

insidia e trabocchetto

Ai sensi dell’art. 2051 c.c., l’Ente Pubblico e’ obbligato a provvedere alla manutenzione delle proprie strade – per evitare pericoli e salvaguardare l’incolumità di terzi – laddove diversamente potrebbero sussistere le presunzioni di responsabilità di cui all’articolo richiamato. La Cassazione ha da tempo ben precisato che l’estensione del bene demaniale rappresenta soltanto una “figura sintomatica” della impossibilita’ della custodia da parte dell’Ente Pubblico mentre e’ compito del Giudice di Merito valutare concretamente ogni fattispecie in esame.

L’ubicazione dell’elemento causale all’interno del perimetro urbano rappresenta elemento sintomatico della possibilita’ di custodia ( Cass. Civ. 15383/06 – 15384/06). Orbene, le cadute occorse all’interno del centro urbano  (dove il piu’ delle volte transitano centinaia di persone  liberamente) potrebbero di fatto determinare le responsabilita’ teste’ richiamate, con il solo onere a carico del ricorrente di dimostrare l’esistenza dell’evento  e l’efficienza causale dell’evento stesso rispetto ai danni occorsi. Gravera’ invece sull’Ente coinvolto dimostrare la prova liberatoria del fortuito dando la dimostrazione che il danno si e’ verificato in modo non prevedibile ne’ superabile con la diligenza adeguata al caso in concreto.

Ai fini dell’attribuzione della responsabilità prevista dall’art. 2051 cod. civ. sono necessarie e sufficienti una relazione tra la cosa in custodia e l’evento dannoso nonché l’esistenza dell’effettivo potere fisico su di essa da parte del custode, sul quale incombe l’obbligo di vigilarla e di mantenere il controllo onde evitare che produca danni a terzi. Ne consegue che il custode convenuto è onerato di offrire la prova contraria alla presunzione “iuris tantum” della sua responsabilità mediante la dimostrazione positiva del caso fortuito, cioè del fatto estraneo alla sua sfera di custodia, avente impulso causale autonomo e carattere di imprevedibilità e di assoluta eccezionalità. Nell’eventualità della persistenza dell’incertezza sull’individuazione della concreta causa del danno, rimane a carico del custode il fatto ignoto, in quanto non idoneo ad eliminare il dubbio in ordine allo svolgimento eziologico dell’accadimento” (Cass. Civ. nr 5741 del 10/03/2009). La Corte osserva, infatti, come “la norma dell’art. 2051 c.c., come del resto già da tempo posto in rilievo anche dalla migliore dottrina, contempla quali unici presupposti applicativi la custodia e la derivazione del danno dalla cosa…La custodia consiste nel potere di effettiva disponibilità e controllo della cosa…La situazione giuridica qualificante è da ravvisarsi… nella particolare relazione del soggetto con la cosa, sia essa di fonte negoziale o legale…il danneggiato, secondo la regola generale in tema di responsabilità civile extracontrattuale, è tenuto a dare la prova che il danno deriva dalla cosa…la norma di cui all’art. 2051 c.c. non richiede, invero, altri presupposti applicativi (Cass. Civ. 20 febbraio 2006, n. 3651 e 14 marzo 2006, n. 5445). Correttamente si è in dottrina qualificata la fattispecie in questione come ipotesi di responsabilità aggravata …è infatti indubbio che tale inversione dell’onere probatorio incide sulla posizione sostanziale delle parti, agevolando la posizione del danneggiato con il far gravare sul danneggiante il rischio del fatto ignoto, inidoneo ad eliminare l’incertezza in ordine allo svolgimento eziologico dell’accadimento…Tale inversione dell’onere probatorio non fa peraltro venire meno la rilevanza del requisito della colpa, che concorre –seppure in via presuntiva- a costituire l’illecito, come reso palese dalla stessa possibilità di provarne la mancanza”. E, prosegue la Corte, poiché “la prova liberatoria del fortuito attiene …alla prova che il danno si è verificato in modo non prevedibile né superabile con l’adeguata diligenza, e cioè con lo sforzo diligente dovuto in relazione alle circostanze del caso concreto “ da ciò discende che “ la prova del fortuito attiene …al profilo della mancanza di colpa (cfr. Cass. Civ. 24 maggio 1997, n. 4632).

In altri termini, la condotta del danneggiato non può avere rilevanza alcuna ai fini della valutazione del concorso del fatto colposo nel cagionare il danno secondo la regola posta dall’art. 1227, richiamato dall’art. 2056 c.c., in quanto tale condotta – secondo i principi della regolarità e della efficienza causale, cui va improntato l’accertamento del nesso di causalità – lungi dal determinarlo in via esclusiva, non e’ tale  da concorrere alla produzione dell’evento dannoso. Conclusione questa conforme all’orientamento in tema di prova liberatoria del custode dalla sua responsabilità ex art. 2051 c.c., secondo cui se il comportamento colposo del danneggiato non è idoneo da solo ad interrompere il nesso eziologico fra la causa dell’evento dannoso- che è costituita dalla res in custodia – ed il danno: esso può anche in ipotesi integrare il concorso colposo del danneggiato nella produzione del danno ai fini dell’art. 1227, comma 1° c.c. (cfr. Cass. Civ. 7727/2000).

Pertanto bisogna ben tener presente che la condotta del danneggiato puo’ tranquillamente interrompere ogni nesso causale tra il fatto e l’evento laddove assumi i caratteri del caso fortuito. E’ il caso tipico del ciclista che passeggi per una strada a lui nota e che di fatto riporti lesioni per una caduta determinata da una buca sul manto stradale.

“Spetta sempre al custode della strada dimostrare che la caduta deriva dal caso fortuito, includendo ciò anche la condotta imprudente/negligente del ciclista, ovvero se quest’ultimo aveva la possibilità di attuare concrete manovre ostative della caduta senza incorrere in nessun altro rischio….(Cass Civ ordinanza nr 6823/2018)”.